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Lo straining, figura attenuata del mobbing

Lo straining, figura attenuata del mobbing

Introduzione e definizione di straining

La prova di aver subito condotte di mobbing, come abbiamo avuto modo già di analizzare, potrebbe essere particolarmente gravosa per il dirigente, ma, ad oggi, la Giurisprudenza ha riconosciuto una ulteriore figura, più attenuata, in termini di gravità, rispetto al mobbing, derivante da condotte datoriali lesive della persona del lavoratore: lo straining.

Tale fenomeno si concreta in comportamenti vessatori del datore di lavoro ai danni del lavoratore senza, tuttavia, i requisiti della sistematicità e della frequenza nel tempo che caratterizzano il mobbing.

Lo straining, infatti, si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata la condotta illecita: non è necessario il carattere della continuità delle azioni vessatorie tanto che, nel primo caso, sono sufficienti anche poche azioni isolate, mentre nel mobbing la continuità delle azioni vessatorie costituisce un elemento imprescindibile.

Lo straining si verifica soltanto al ricorrere di determinati parametri di riconoscimento: (i) ambiente lavorativo;(ii) frequenza e durata dell’azione ostile;(iii) le azioni subite devono essere incluse in categorie tipizzate dalla scienza (attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza); (iv) posizione di costante inferiorità percepita come permanente; (v) andamento secondo fasi successive; intento persecutorio” (Corte d’Appello di Ancona sez. lav., 17/07/2019, n.70).

 

Risarcimento del danno da straining

Nel caso di condotte poste in essere dal datore di lavoro che costituiscono la fattispecie di straining, anche nei confronti di una figura apicale quale il Dirigente, sorge certamente un diritto al risarcimento del danno da parte del lavoratore vessato.

Lo straining permette di ottenere un risarcimento, seppur attenuato rispetto al mobbing, in ragione della possibile mancanza della prova della sistematicità o ripetizione nel tempo degli eventi lesivi.

Infatti, ove si rivelino azioni produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore,  le stesse giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 c.c., norma di cui da tempo è stata fornita un’interpretazione estensiva costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 2, 32,41 Cost. (cfr. Cass. 3291/2016[1], Cass. 3977/2018).

Ad ogni modo, nulla cambia circa la prova del danno subito: nonostante lo straining sia integrato in assenza di intento persecutorio, comunque il ricorrente deve provare in giudizio la sussistenza del danno, la nocività dell’ambiente lavorativo e il nesso causale tra le due (cfr. Cass. 24883/2019[2]).

 

Rilievi processuali tra mobbing e straining

In considerazione della qualificazione della condotta di straining rispetto a quella di mobbing, la Giurisprudenza ha spesso affrontato la problematica che potrebbe sorgere circa la violazione dell’art. 112 c.p.c., in materia di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nel caso in cui il giudice qualifichi come straining la condotta vessatoria denunciata dal lavoratore quale mobbing.

Sul punto, la Giurisprudenza maggioritaria ritiene che il giudice non incorra nella violazione dell’art. 112 c.p.c. nel momento in cui qualifichi la fattispecie in termini di straining a fronte di una deduzione di mobbing da parte del ricorrente, trattandosi semplicemente di differenti qualificazioni di tipo medico-legale, utilizzate entrambe per identificare comportamenti ostili, in ipotesi atti a incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato e rappresentato (cfr. Cass. 3977/2018; Cass. 18164/2018; Cass. 3291/2016).

Nell’uno come nell’altro caso, infatti, viene in considerazione la violazione del precetto di cui all’art. 2087 c.c., dalla quale deriva l’obbligo di evitare situazioni “stressogene”, che diano origine a una situazione la quale, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, possa presuntivamente creare danni alla salute o alla dignità del lavoratore

Pertanto, una volta acclarato il compimento di una condotta contraria all’art. 2087 c.c., senza, tuttavia, rilevare la richiesta della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing e non da straining, il giudice può giungere ad una diversa qualificazione senza mutare il petitum e la causa petendi e senza attribuire al lavoratore un bene diverso da quello domandato.

Tale impostazione giurisprudenziale tutela il lavoratore – dirigente che, sostenendo di aver subito un danno da mobbing, qualora non risultino provati tutti i requisiti costitutivi di tale fattispecie, non rischia di vedersi rigettare la domanda, ma può ottenere in ogni caso un risarcimento del danno, seppur in forma attenuata, per straining.

Avv. Marco Pola

per approfondimenti: marcopola@npassociati.com – Avvocato del lavoro

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[1]Ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative “stressogene” (cd. “straining”), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di “mobbing”, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno”.

[2]Il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative « stressogene » (c.d. straining), e a tal fine il giudice di merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di « mobbing », è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti, possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno”.

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